I beni storici della Fraternita dei Laici che nel tempo sono passati di mano, come le Logge Vasari o l’Acquedotto vasariano, e le opere d’arte che ora si trovano altrove per cessione, donazione o scambi e intese con altre istituzioni.
Il caso del celebre dipinto del Barocci portato agli Uffizi per volere di Pietro Leopoldo di Lorena: come rifiutarlo al Granduca di Toscana?
Un polo culturale aretino ‘ante litteram’ nel palazzo di Fraternita in piazza Grande: un centro aggregante della cultura che prende vita alla fine del ‘700 con la Pubblica Libreria, ospita poi la Scuola libera di Disegno e il Museo delle Antichità. G.F. Gamurrini lo definisce “la sua vera scuola” e tale è stato nell’800: luogo di studi e di incontri per studiosi, intellettuali, ecclesiastici, giovani studenti, artisti e artigiani.
La Fraternita di Laici: si fa carico da lungo tempo di interventi istituzionali e iniziative pubbliche per la promozione degli Aretini.
Antonio Fabroni: studioso di matrice scientifica, partecipe del contesto culturale dinamico e informato che caratterizza l’Arezzo del fine ‘700 e primi ‘800.
Dalla loro collaborazione nasce nel 1823 il Museo di Storia Naturale e di Antichità, annesso alla Pubblica Libreria. Sotto la direzione di Fabroni, è il primo museo pubblico della città che accoglie, all’insegna dell’eclettismo, tutti gli oggetti presenti in luoghi pubblici e privati del territorio, e ne fa una collezione ordinata e incrementata negli anni con donativi e acquisti.
Nei decenni seguenti si nota un cambiamento di tendenza: l’incremento della sezione mineralogica e paleontologica, prevalente all’inizio, tende a diminuire, mentre si presta particolare attenzione alle testimonianze etrusche e romane, nel gran fermento delle campagne di scavi nel territorio.
Le acquisizioni sono accompagnate da produzione editoriale, da analisi e documentazioni grafiche degne di nota: rilevante e ancor oggi ben documentata la collaborazione con Ranieri Bartolini.
L’impronta archeologica si potenziò con l’acquisto della collezione Bacci nel 1850 e della collezione Redi del 1851, con i reperti provenienti dagli scavi nel territorio (Poggio del Sole, Santa Maria in Gradi, S. Agostino, Cincelli, ecc), con l’apporto della collezione Gamurrini, direttore del Museo dal 1892, e della collezione Funghini. Nel 1934-35 il Comune diviene usufruttuario delle collezioni e viene data una sistemazione unitaria alla raccolta archeologica, separandola da quella medievale, e ordinandola nell’attuale sede, sistemata nel convento olivetano e aperta al pubblico dal 1937.
Bibliografia:
C. Sisi (a cura), Ottocento ad Arezzo. La Collezione Bartolini, catalogo mostra (Arezzo, ex Chiesa dei Santi Lorentino e Pergentino, ottobre 2003-gennaio 2004), Firenze (Edifir) 2003
A. Marzocchi Goti, Contributi per la storia del Museo di Storia Naturale e di Antichità della Fraternita sotto la direzione di Antonio Fabroni (1823-1845), in “Annali Aretini”, XI, 2003, pp. 163-186
I. Droandi, Inventari ottocenteschi della Collezione Bacci dall’archivio privato Borghini Baldovinetti di Arezzo, in “Annali Aretini”, XI, 2003, pp. 117-162
Una scuola pubblica e gratuita per formare abili artigiani e bravi artisti. Ad Arezzo, prima che in altre città toscane, si organizzano corsi di disegno per i “braccianti”.
Dietro l’istanza di un gruppo di artigiani locali, venne aperta nel 1806 la prima scuola pubblica di disegno; fu allestita al pianterreno del palazzo di piazza Grande, sotto la Libreria pubblica e i locali del tribunale. Accanto si trovava lo studio di Angiolo Ricci, il pittore aretino al quale si affidarono, fino al 1827, la direzione della nuova scuola e l’insegnamento di tutte le discipline. Nella pedagogia post illuminista, l’attività grafica, e in particolare della copia dall’Antico, veniva riconosciuta come base comune per l’avviamento delle attività manifatturiere e per la propedeutica artistica. Al fine di favorire la partecipazione degli operai si fecero orari compatibili con le aperture dei cantieri e delle botteghe e si previdero alcuni indirizzi di specializzazione, come quello dell’intaglio. Nel 1811 la sede fu spostata nell’ex refettorio del convento di Sant’Ignazio e, successivamente, verso il 1858, in due stanze del soppresso convento di Santa Croce. Dopo Ricci, la direzione e la didattica passarono a Raimondo Zaballi, a Ranieri Bartolini e, infine, a Luigi Gatteschi. La vitalità della scuola decrebbe dopo la metà del secolo, fino alla completa estinzione. La sua eredità venne raccolta dalla Scuola Libera di Disegno e Modellatura aperta nel 1885, all’interno di palazzo Subiano, accanto alla Pinacoteca e alla Collezione Bartolini. La dirigeva una commissione comprendente il primo rettore della Fraternita. Con alterne fortune fu presente in città, presumibilmente, fino alla Prima Guerra Mondiale. Parte dei disegni prodotti e dei materiali didattici rimangono nella Collezione Bartolini.
Bibliografia:
E. Agnolucci, Anno 1806: una scuola di disegno per i “braccianti” con le rendite dello spedale di Sant’Agostino, in “Annali Aretini”, V/1997, pp. 129-142
“Una Libreria nuova, se non vasta al pari delle Toscane biblioteche più celebri, uguale almeno ad esse e per la bontà dei volumi e per l’eleganza delle suppellettili e per il comodo degli Studiosi…”.
Così si legge nell’archivio di Fraternita quando nel 1782 l’Ente decide di rinnovare la preesistente biblioteca pubblica, creata nel Palazzo di Piazza Grande grazie ad un lascito del medico aretino Antonio Turini nel 1602 e danneggiata irreparabilmente nel 1759 da un incendio. Arezzo, dunque, insieme a poche altre città, grazie alla munificenza di un privato e all’iniziativa della Fraternita, ebbe sin dal 1600 una biblioteca, accessibile ai cittadini. Il secolo successivo è l’età d’oro delle biblioteche, di cui si dotano tutte le capitali europee e i più importanti centri culturali compresa Firenze, saloni razionali nella struttura e fastosi nell’arredo, che accolgono l’intero sapere e sono accessibili a chiunque si vuole applicare agli studi.
La Fraternita accoglie questa esigenza e si fa carico di un grande iniziativa per la promozione della cultura nella sua città: dotarla delle prima biblioteca pubblica.
Lo fa con magnificenza: agli interventi strutturali, importanti, impegnativi e costosi, progettati e diretti dal Capo Ing. Salvetti di Firenze, tecnico di fiducia del Granduca Leopoldo, segue l’arredo dell’intero complesso, affidato a maestranze artigianali aretine legate da stretta parentela, nucleo originale di consorterie artigianali e professionali del secolo successivo (fra gli altri i Mori intagliatori e i Rossi falegnami): arredo curato per tutti gli ambienti, ma certamente straordinario per il Salone, tappezzato da due ordini di scaffali, separati da un ballatoio e collegati attraverso uscioli che portano a scale segrete. Sportelli, mensole, cornici, pilastri, vasi, tavoli, leggii… il tutto riccamente intagliato e verniciato dagli artigiani-artisti aretini. Su tutto domina il ritratto di Pietro Leopoldo del Cimica, con la sua fastosa cornice, cui seguiranno gli altri ritratti della quadreria granducale.
Anche il corredo librario si rivela importante sin dall’inizio, e si stanziano somme ulteriori per dotare la libreria di nuovi ‘buoni libri’ scelti dal bibliotecario e altri tre lettori deputati allo scopo. La bella biblioteca, che si completerà pochi decenni dopo con il Museo di Antichità annesso, accoglierà gli aretini in piazza Grande fino al 1880, quando il tutto venne trasferito nel palazzo Barbolani.
Bibliografia:
Andanti, I. Biagianti, G. Centauro, R. Salvadori, F. Vannuzzi, Cultura e società nel Settecento lorenese. Arezzo e la Fraternita dei Laici, Firenze 1988
E. Agnolucci, La città della Fraternita, Arezzo 1992
A.Marzocchi Goti, La “Libreria nuova” nel Palazzo della Fraternita dei Laici di Arezzo, in “Annali Aretini”, III, 1995 , pp. 61-74
Bibliografia:
C. Sisi (a cura), Ottocento ad Arezzo. La Collezione Bartolini, catalogo mostra (Arezzo, ex Chiesa dei Santi Lorentino e Pergentino, ottobre 2003-gennaio 2004), Firenze (Edifir) 2003
A. Marzocchi Goti, Contributi per la storia del Museo di Storia Naturale e di Antichità della Fraternita sotto la direzione di Antonio Fabroni (1823-1845), in “Annali Aretini”, XI, 2003, pp. 163-186
I. Droandi, Inventari ottocenteschi della Collezione Bacci dall’archivio privato Borghini Baldovinetti di Arezzo, in “Annali Aretini”, XI, 2003, pp. 117-162
Nella Piazza principale della città, si aprì per conto della Fraternita il primo teatro stabile. Luogo di cultura e divertimento, fu motivo di vanto per la nobiltà di Arezzo.
Nacque all’incirca nel 1594, all’interno del palazzo delle Logge, in Piazza Grande. Fu allestito, uno “stanzone” per le commedie, ad uso anche di comici forestieri. Documenti del ‘700 lo descrivono in cattivo stato di conservazione, tanto da dover procedere a urgenti restauri. Sovrintese i lavori l’architetto Alessandro Seller e quando furono terminati, nel 1742, si parlò di teatro nuovo, intendendo per esso lo stesso luogo, ma molto cambiato in alcune parti strutturali e in quelle effimere degli scenari. Fu allora che prese il nome di Teatro Grande, mentre più avanti lo si trova denominato La Fenice.
Le cronache registrano eventi importanti, dalla venuta della sovrana Elisa Baiocchi alla messa in scena, nel 1827, delle tragedie improvvisate da parte dell’aretino, di fama europea, Tommaso Sgricci.
Fu venduto alla fine degli anni Sessanta, sotto il magistrato di Francesco Gamurrini.
Bibliografia:
U. Viviani, Storia dei 287 anni di vita del Teatro Grande della P. Fraternita dei Laici in Arezzo, Arezzo, 1935
I. Droandi, Le arti ad Arezzo nel XIX secolo, in “Ottocento ad Arezzo. La Collezione Bartolini” Firenze 2003, a cura di C. Sisi, Firenze 2004, p. 35
Nelle chiese importanti della città, privati cittadini facevano costruire cappelle o edicole a muro, spesso con l’intervento di artisti famosi. Molte di esse vennero affidate dagli stessi fondatori alla Fraternita, perché le mantenesse o le arricchisse.
A partire dal Trecento, il patronato della Fraternita si estese su molte cappelle, poste nelle principali chiese cittadine, dedicate al culto dei santi e istituite da parte di famiglie private, passate, poi, per donazione o per lascito, al Luogo Pio. Tali vicende si ricostruiscono dalle carte d’archivio, più che dalle opere sopravvissute. Le edicole o le cappelle furono dal basso Medioevo una pratica molto diffusa, presso i ceti alti della città e le sedi prescelte furono il Duomo, la Pieve e le chiese “nuove” di San Domenico e di San Francesco. Nel tempo esse sono state oggetto di parziali demolizioni o radicali restauri, fino alla perdita totale della maggioranza delle più antiche. L’assegnazione del patronato alla Fraternita derivava anche dal fatto che molte di quelle cappelle avevano carattere funebre; con l’eredità, spettava, dunque, all’Ente la conservazione del monumento, ma soprattutto il mantenimento degli esercizi liturgici di suffragio.
Poteva accadere che toccasse ai rettori, per disposizione testamentaria, la commissione dei decori pittorici e scultorei, come rivelano i documenti per la cappella trecentesca degli Accettanti, nella Pieve di Santa Maria, dove attesero agli affreschi Spinello Aretino e ai rilievi una squadra di fiorentini di ambito orcagnesco. Molto più tardi, alla fine del Cinquecento, la cappella della Fraternita in Pieve ospitò la “Madonna del popolo” di Federico Barocci, poi passata agli Uffizi per volere del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena.
Bibliografia:
I. Biagianti, Povertà e assistenza durante l’ancien régime: La Fraternita dei Laici di Arezzo nelle riforme leopoldine, in AA.VV., Cultura e società nel Settecento lorenese. Arezzo e la Fraternita dei Laici, Firenze 1988, p. 138
A. Andanti, Pittura ad Arezzo dalla fine della dinastia medicea a agli inizi del Regno di Ferdinando III (1737-1792), in AA.VV., Cultura e società nel Settecento lorenese. Arezzo e la Fraternita dei Laici, Firenze 1988
I. Droandi, Questioni di pittura aretina del Trecento, in “Annali Aretini”, VIII – IX, 2000 – 2001, p. 381