Storia

Lunga e affascinante, la storia della Fraternita coincide con la storia della città e ne conserva la memoria nel suo prezioso archivio.

La sua nascita sembra risalire a prima del XIII secolo, forse nel clima penitenziale suscitato dalla peste, ma è quasi certo che sia stata, successivamente, una congregazione mariana, vicina all’ambiente dei domenicani. Il primo statuto noto, che si conserva nella sede dell’ente, risale al 1262 con l’approvazione del vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini. L’atto ratificò l’abbandono del carattere devozionale e ridisegnò le funzioni caritative della società rinata sotto il titolo di Santa Maria della Misericordia.
A quella data contava 1700 cittadini iscritti. I rettori riscuotevano le donazioni testamentarie devolute in favore dell’Ente e praticavano la mendicità per raccogliere pane e denaro da distribuire ai “poveri bisognosi”. Si trattava di nobili caduti in disgrazia, ai quali non era consentito, per classe di origine, l’esercizio di attività manuali e tanto meno l’esibizione del loro stato di bisogno con la questua pubblica. Oltre all’obbligo dei notai aretini di suggerire ai testatori l’opportunità di beneficiare la congregazione, fu il Comune stesso a favorire con precise disposizioni statutarie la costituzione del suo patrimonio immobiliare.

Paradigmatica per tante istituzioni simili, la Fraternita ha svolto tuttavia compiti singolarissimi dovuti allo stretto legame con i governi della città. Eccezionalmente rilevanti furono, per esempio, il ruolo svolto nel campo dell’assistenza, la gestione indiretta degli ospedali ed il fatto che dal XIV secolo tutti i nati ad Arezzo divenivano automaticamente suoi confratelli. Fu per questo motivo che ebbe inizio la registrazione dei nati e dei morti, quasi una forma di stato civile, e il coinvolgimento nelle onoranze funebri di tutti i cittadini.

Dopo aver usato sedi occasionali per le adunanze del Magistrato, dallo spedale di San Lorentino alla Pieve di Santa Maria, fu deliberata la costruzione di una casa propria sul lato orientale della Platea magna.

Nel 1377 fu agibile il primo piano, ma poco dopo il cantiere si interruppe a causa delle turbolente vicende del passaggio definitivo della città sotto il dominio fiorentino. Nel 1395 Spinello, il maggior pittore aretino del tempo, dipinse il Cristo in Pietà sopra al portale d’ingresso. Oramai proprietaria di una sede nel punto piò prestigioso della città, la Fraternita svolgeva compiti da istituzione pubblica, mentre accumulava da testatori interessati al “remedio animae”, un patrimonio ragguardevole che alle soglie del Quattrocento contava già estese terre, e botteghe, case, molini, ospedali.

Con Lazzaro di Giovanni di Feo Bracci, mercante della lana senza eredi, che lasciò tutti i suoi averi all’ente nel 1410, prendeva avvio un’epoca gloriosa di grandi benefattori e di grandi imprese architettoniche. Da allora in avanti i contributi dati dalla Fraternita alle opere pubbliche risultarono fondamentali per la fisionomia della città. Per l’ampliamento della sede e il compimento della sua facciata, i rettori chiamarono da Firenze Bernardo Rossellino e Giuliano da Settignano. La crescita del palazzo procedette di li a poco anche in orizzontale, verso la Pieve, per la sistemazione di una nuova sala dell’Udienza, dove Parri di Spinello affrescò la Madonna della Misericordia. Verso la fine del secolo, prese posto in un locale, annesso al nucleo primitivo del palazzo, il Monte Pio, istituito dalla Fraternita con il Comune. Malgrado lo stretto controllo esercitato dal governo centrale fiorentino, nel corso del Cinquecento non vennero meno la fortuna e la visibilità della pia istituzione. Oltre ad acquisire l’amministrazione dei pupilli, nel 1525 entrò in possesso dello Spedale di Sant’Agostino, destinato a pellegrini e viandanti, e dei suoi beni dotali. Il fatto segnò un traguardo importantissimo, poiché con le rendite eccedenti vennero istituite delle borse di studio, dapprima per medicina, agraria e giurisprudenza, e poi, nella seconda metà del XVIII secolo, anche per le Belle Arti. Arrivarono intanto i lasciti di Mariotto Cofani, di Angelo Gambiglioni e di Giorgio Vasari, quest’ultimo da incamerare all’estinzione della linea maschile della famiglia. I rapporti che la Fraternita aveva avuto con il maestro Giorgio, aretino versatilissimo e familiare al granducato mediceo, avevano prodotto esiti rilevanti dalla metà del Cinquecento: suo era stato il disegno per il campanile a vela del palazzetto di Piazza Grande, suo il progetto della piazza, a partire dal Palazzo delle Logge, impostato sul modello fiorentino degli Uffizi, lungo il lato nord. Iniziato il palazzo coi proventi della donazione Cofani, il cantiere fu tanto impegnativo che richiese anche il contributo finanziario della Comunità.
Ancora in corso nel 1593, fu interrotto dal Granduca perchè la Fraternita dirottasse le sue risorse verso un’altra necessaria opera pubblica: il condotto di cinquantadue arcate che doveva canalizzare l’acqua sorgente dall’Alpe di Poti, fino alla città e alla fontana che, ai primi del Seicento, fu costruita nella parte bassa di Piazza Grande. Nel 1594 la Fraternita siglò un altro progetto all’avanguardia, aprendo, in una parte del Palazzo delle Logge, il primo teatro stabile cittadino, poi denominato La Fenice. Sempre dal disegno vasariano scaturì, infine, nel tardo Seicento la soluzione della facciata di rivestimento di tutti gli ampliamenti che nel tempo avevano esteso la sede fino a congiungersi con l’abside della Pieve di Santa Maria. All’interno, intanto, aveva preso posto la scuola pubblica e una preziosa biblioteca, dono di Girolamo Turini, la prima aperta alla cittadinanza. Unica ad Arezzo, la Fraternita passò indenne al decreto leopoldino di soppressione delle compagnie del 1785, anche se fu invitata dal granduca a razionalizzare in senso illuminista le sue strategie assistenziali. Pochi anni prima l’ente aveva dato il via a tre importanti fabbriche: la ristrutturazione del teatro, la ricostruzione della Libreria pubblica dopo un incendio e la costruzione del cimitero a sterro fuori della cinta muraria.

Nel 1768 la Fraternita acquisì le chiavi del camposanto e della cappella mortuaria e, dopo circa un ventennio, ordinò l’ampliamento dell’area per le sepolture. Nel 1786 gli uffici, con tutto il loro arredo di quadri e di disegni, furono traslocati nel Palazzo Comunale. Nella casa di Piazza Grande rimase la Libreria, ma di lì a poco, si aggiunse la prima scuola pubblica di disegno per gli artigiani e, nel 1823, il museo di Antichità e Storia Naturale fondato da Antonio Fabroni. Tardi, nel 1882, fu acquistato palazzo Barbolani per riunirvi di nuovo gli uffici dell’ente e i suoi principali istituti culturali, la Libreria, il Museo e la Scuola di disegno, accanto alla Pinacoteca comunale e alla Collezione Bartolini. Il ruolo della Fraternita nelle vicende culturali aretine continuò ad essere importante anche tra Otto e Novecento. Le sue collezioni archeologiche, artistiche e librarie sono all’origine degli attuali musei statali, quello archeologico e quello d’arte medievale e moderna, e della Biblioteca cittadina.

Appartengono al Novecento altri due grossi lasciti in case e terre, quello di Giuseppe Ninci, risalente al testamento del 1919, e quello del 1965 dei coniugi Gianni e Maria Carlotta Occhini, entrambi con disposizioni precise per l’investimento delle rendite, in favore dell’infanzia e dell’istruzione universitaria. Per circa trent’anni, l’Ente ha avuto sede nel palazzo di via Ricasoli che fu della famiglia De’ Giudici. Dal dicembre 2010 la Fraternita è ritornata nella sua antica sede: il Palazzetto in Piazza Grande. Al suo interno si conservano con cura moderna la notevole quadreria, l’Archivio storico e la Collezione Bartolini di disegni e stampe. L’impegno di oggi è conservare, aggiornandoli, gli antichi compiti per la città, con criteri e mezzi adeguati ai tempi, ma sempre onorando la tradizione secolare.

Bibliografia:

G.C. Meersseman, Ordo Fraternitatis. Confraternite e pietà dei Laici nel Medioevo, vol. II, Roma 1977, pp. 954 – 971, 972, 997-998, 1011, 1015 – 1029

M. Mercantini, Il palazzo di Fraternita in Piazza Grande ad Arezzo, Arezzo 1980

A. Antoniella, L’Archivio della Fraternita dei laici di Arezzo, Firenze 1985, vol. I, pp. VII – LIII

A. Andanti, I. Biagianti, G. Centauro, R. Salvadori, F. Vannuzzi, Cultura e società nel Settecento lorenese. Arezzo e la Fraternita dei Laici, Firenze 1988

E. Agnolucci, La città della Fraternita, Arezzo 1992