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Le origini dell’antichissima istituzione della Fraternita sono certamente precedenti alla data del suo primo documento, lo statuto del 1262; la bolla di papa Alessandro IV del 1257 rivolta alla Fraternita ‘Beate Marie Aretine’ presumibilmente documenta una fase precedente della vita dell’Ente, quella di una congregazione devozionale mariana, cui i predicatori domenicani, non potendo per statuto possedere beni a fine di rendita, affidano l’amministrazione delle ricche donazioni loro devolute dal ceto mercantile per finalità caritative, cosa che avviene negli stessi anni a Firenze. E ancor prima si può parlare di una congregazione sorta a seguito della predicazioni francescane con caratteri prevalenti penitenziali.
Lo statuto del 1262 costituisce l’atto di rifondazione di una Fraternita, che rinnovandosi già nel nome, Sancte Marie de Misericordia, si propone innovativa nelle sue finalità e nelle sue componenti: la gestione essenzialmente laica e le finalità caritative sono strettamente connesse.
La caratterizzano un’azione assistenziale rivolta ai ‘poveri vergognosi’, che provenendo dai ceti nobiliari o comunque abbienti non possono esercitare la mendicità in pubblico, che costituirebbe fonte di vergogna non solo per sé ma per l’intera categoria sociale di appartenenza. Questa dunque si esprime attraverso la Fraternita in un’assistenza discreta ma prioritaria ai nobili decaduti che resta nelle finalità e nelle attività preferenziale e caratterizzante dell’Ente fino al XIX secolo; la troviamo d’altra parte sempre presente anche nelle volontà dei numerosi benefattori, che destinano la maggior parte dei loro lasciti agli appartenenti in difficoltà del loro stesso ceto sociale.
Sono quindi i ‘cives aretini’, esponenti del ceto dirigente laico, a gestire il profondo cambiamento in direzione laica e caritativa espresso dallo Statuto del 1262, il documento n.1 dell’archivio storico dell’Ente.
L’atto di approvazione del nuovo statuto, seguito dai venticinque capitoli costitutivi, si legge in un diploma del vescovo Guglielmo Ubertini rogato dal notaio episcopale Bonaventura Villani in data 2 aprile 1263.
Nel primo dei capitoli si esaltano il valore delle opere di misericordia temporali e i meriti che si acquisiscono con il loro esercizio e si enuncia che tali opere sono rivolte ‘precipue’ ai poveri vergognosi, alle vedove, agli orfani, e in secondo luogo ai monasteri poveri, agli ospedali, e ai carcerati e in generale a procurare carità, amore, e concordia reciproche. Si dà alla Fraternita (cap II) il nuovo congruo nome di S. Maria della Misericordia nel momento in cui ci si affida totalmente alla protezione e intercessione della Vergine Maria, Regina della Misericordia. Si elogia (cap III) l’istituzione, nata a onore di Dio e utilità del prossimo, nell’esercizio della carità già lodato da Gesù, San Paolo, Salomone, Mosè; si elogia l’opera dei rettori che con umiltà e sollecitudine vanno personalmente a mendicare. Si definiscono (cap IV-V) le modalità di elezione e le funzioni del priore, unico non laico, che ha il compito di assistere rettori e consiglieri e di vigilare sulla fedeltà e devozione dei confratelli.
I quattro rettori (cap VI) eletti dai quattro quartieri della città ricevono le volontà testamentarie, vanno personalmente a mendicare una volta alla settimana pane e denaro, che distribuiscono ai poveri e nei casi di necessità ai monasteri poveri, ai carcerati. Si eleggono quattro consiglieri (capVII) a collaborare e a verificare le ragioni contabili dell’Ente. Il priore (cap VIII) rimane in carica per sei mesi, i rettori e i consiglieri tre mesi. Alla scadenza del mandato (cap IX) i vecchi rettori devono render conto delle entrate e delle uscite ai nuovi e ogni mese ai consiglieri. E’ compito del priore (cap X) curare l’accettazione dei nuovi confratelli con le cerimonie di rito e informarli sugli obblighi assunti, generali di riverenza a Dio, alla Chiesa e alla famiglia, particolari legati allo statuto. I religiosi (cap XI) non sono assoggettati agli obblighi comuni, salvo la preghiera quotidiana e le riunioni mensili. Gli obblighi sono gli stessi per le donne, salvo le necessità familiari (cap XII). Possono essere ammessi anche forestieri residenti nella diocesi o in altra diocesi, purché assolvano gli obblighi della preghiera e delle contribuzioni (cap XIII-XIV). I confratelli sono tenuti a meditare tutti i giorni in una chiesa di loro scelta e a pregare per i vivi e per i morti (cap XV) a dare in elemosina ai rettori per i poveri un denaro alla settimana (cap XVI-XVII), a partecipare alle riunioni mensili in San Domenico, versando un denaro per i suffragi dei defunti, per pregare e ascoltare le comunicazioni dei rettori e commemorare i fratelli morti nel frattempo. Nelle quattro festività della Vergine Maria (cap XVIII) devono versare due denari per le celebrazioni religiose e nelle festività di tutti i Santi da 6 a 12 denari per acquistare vesti per i poveri. Ogni qualvolta muore un confratello (cap XIX) si chiede preghiera e un denaro per officiare le messe per l’anima di quello e di tutti i defunti. Quando muore un confratello (cap XX-XXI) subito il rettore del suo quartiere deve riferire al priore, che ne registra le generalità nel suo libro dei morti per le future commemorazioni a suffragio.
In compenso i confratelli diventano partecipi dei beni e dei diritti della congregazione, che interviene in suffragio delle loro anime, in occasione della morte e delle ricorrenze della medesima (cap XXII-XXIII).
Nessun articolo può essere mutato se non per decisione del priore, dei rettori, dei consiglieri riuniti in San Domenico (cap XXIV). A conclusione (cap XXV) si affida la congregazione illuminata dallo Spirito Santo alla protezione della Vergine Maria, ‘dux et caput fraternitatis’, perché sia degna in questo mondo e gloriosa in cielo.
Bibliografia:
G.C. Meersseman, Ordo Fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, vol. II, Roma 1977
A. Antonella, L’Archivio della Fraternita dei laici di Arezzo, Firenze 1985